C’era una volta
C’era una volta
Villa Giovanelli
Una volta a Lonigo c’erano i principi ed oggi c’è ancora sul colle la loro villa che domina come da belvedere. Qui si insediò fin dal X° secolo un monastero benedettino dedicato ai martiri veronesi Fermo e Rustico e dipendente dall’ Abbazia di S. Benedetto di Polirone (Mantova), nel xv° secolo, passò sotto la giurisdizione dei canonici di S. Giorgio in Alga (Venezia); nel 1668 la congregazione fu soppressa e il monastero leoniceno fu acquistato dalle famiglie veneziane Venier e poi Contarini, secondo l’uso della Serenissima di investire in beni ecclesiastici soppressi, per sfruttarne i fondi agricoli e le costruzioni come fattorie e residenze estive. Nel 1834, ai Contarini subentrarono, per diritto ereditario, i Giovanelli, che inglobarono nella proprietà il conventino di S. Bonaventura, detto “La Cappuccina” e il romitorio di Santa Colomba sulla sommità del colle. Il nucleo abbaziale fu trasformato in residenza principesca, mantenendo il chiostro, la chiesa e le torrette, che diedero alla villa un aspetto di moderno maniero affacciato sul borgo di Lonigo.
Fu in effetti l’ultima villa della gloriosa tradizione veneta su cui intervennero gli architetti Zanella, Meduna, Bagnara e Balzaretto per il rifacimento di tutto il complesso, arricchito da una entrata trionfale ai piedi del colle, teatro, maneggio coperto, giardino all’italiana, parco ricco di piante esotiche, con romantico laghetto e cafehaus. Il romitorio fu trasformato, per le esigenze dei mille campi che costituivano la proprietà, in una fattoria di stile svizzero, secondo gusto eclettico di fine ‘800, con tetto aguzzo in ardesia e profili in legno; mentre la Cappuccina rimase un pittoresco rudere immerso tra i cipressi che orlavano il profilo del colle.
ingresso dei fiumi
L’ingresso monumentale
La villa si annuncia sullo slargo di via Ognibene, (conosciuto un tempo come “Mercà del pollame”) con l’ ingresso monumentale dei Fiumi, opera del Bagnara, a ridosso del monte. Due torrette, ornate di erme, protomi e balaustre, sono congiunte da una alta cancellata e racchiudono una scenografica struttura come un acquedotto romano ad esedra, sormontato dalle statue dei fiumi d’Italia, assisa solennemente al centro, coronata di torri e recante lo stemma dei Giovanelli con la data di fine dei lavori, 1868. Da qui per grotte e sentieri tra gli alberi, si giunge alla elegante scalea a duplice rampa che collega il parco con la villa e il giardino all’ italiana, detto “il giardino della Principessa”.
L’altro accesso si apre in via S. Fermo ed è funzionale agli studenti del liceo: ora selciato, era un tempo tutto una scalinata che, incassata tra muraglioni ed aerei ponticelli, saliva fino al portale meridionale della chiesa, frequentata dalla popolazione di Lonigo. Otto edicole con medaglioni di santi benedettini concludono la salita e su questo ingresso una tabella avverte del godimento delle stesse indulgenze della Basilica di S. Giovanni in Laterano a Roma. Nel radicale rifacimento, dell’antica chiesa abbaziale fu mantenuta soltanto la cappella di Sant’Orsola, che all’esterno conserva la piccola abside profilata dall’intreccio degli archetti pensili romanici; fu sostituita la cuspide del campanile, che era in cotto con quattro pigne come quella di S. Daniele, con un cupolino di gusto veneziano, mentre rimasero le bifore gotiche della cella campanaria.
È l’entrata ufficiale alla proprietà, collocata tra via Trento e via C.Ridolfi. Essa è opera dell’architetto vicentino Francesco Bagnara (1784-1866) famoso scenografo alla Fenice di Venezia. Delimitata lateralmente da due torrette, essa prende il nome dalle statue dei principali fiumi italiani. Conclusa nel 1868, rappresenta un vero e proprio teatro, attraverso il quale le carrozze entravano e, in comodi viali, salivano alla villa. Chi voleva, poteva scendere per salire a piedi, lungo comodi sentieri, illuminati da lampioni ad olio e costeggiati da sedili per una sosta ristoratrice. Stupefacente risulta l’integrazione tra gli elementi classici del giardino formale, con i volumi maturi degli alberi retrostanti che realizzano le quinte della scena.
Dal 1845 al 1852, la chiesa di S. Fermo fu ricostruita in stile neo rinascimentale: la facciata è decorata da un timpano arcuato, memore dello stile lombardesco della vicina Chiesa della Madonna dei Miracoli e le decorazioni scultoree del portale, il rosone, i festoni e le paraste, nonché le cornici delle finestre, testimoniano la presenza di raffinati scalpellini, guidati dall’architetto Zanella e dal gusto del colto principe Giuseppe. L’interno è a croce latina, in stile veneto-lombardo, con lesene, festoni e cornici che sottolineano le membrature architettoniche. Il presbiterio ospita alcuni arredi sacri superstiti del tesoro di S. Fermo, come i busti di vescovi in argento, teche di preziose reliquie e, dietro l’altar maggiore, un’arca in cedro, intagliata e dorata, che contiene i resti di S. Rustico, tratti dal cimitero del Verano a Roma nel 1728. Provengono dalla Cappuccina e sono attribuiti al seicentesco pittore leoniceno Calo Ridolfi i grandiosi quadri ai lati, raffiguranti S. Lorenzo Giustiniani e S. Giorgio. Nella neoclassica cappella dell’Immacolata, inizialmente mausoleo dei Giovanelli, colpisce la composta e spontanea eleganza della Madonna annunciata, scolpita e firmata dal veneziano L. Borro. La cappella di Sant’Orsola non fu alterata nell’800, quindi la raffinata decorazione scultorea risale alla bottega di Alvise Lamberti da Montagnana, contemporaneamente attivo a Madonna. La pala attribuita a Bonifazio Dè Pitati raffigura il ”Corteo delle Vergini con Sant’Orsola” in sontuosi abiti principeschi, mentre sulla marina dondolano i velieri pronti a salpare per il pellegrinaggio senza ritorno. Autenticamente rinascimentale la sacrestia dalla volta a vele ricadenti su capitelli pensili.
tre saloni
Le ultime modifiche
La villa ruota attorno al chiostro grande, al cui centro è stato conservato il pozzo con la preziosa vera scolpita e datata 1556. Sul lato est lo spazio è stato irrimediabilmente alterato dalla costruzione moderna dell’ edificio scolastico e del terribile passaggio vetrato: un tempo, uscendo dal chiostro, lo sguardo spaziava dal giardino alla ariosa corte quadrangolare contornata dai locali per la servitù,le serre, il teatrino, la Cavallerizza (il maneggio coperto) e la salita ai campi da tennis e al sorprendente parco all’inglese, ideato da G. Balzaretto, il “mago dei giardini milanesi”. Furono i fratelli Meduna, ingegneri e architetti veneziani, a progettare l’ aspetto esterno della villa,aperta sul parco e sul paese, che voleva essere “moderna”, priva di citazioni classicistiche:infatti le cornici di porte e finestre sono in odore di Liberty, le persiane a scrigno,parapetti e ringhiere in ghisa, la pensilina sopra il portale richiama più le stazioni del metrò parigino che gli ingressi monumentali. Ai lati dell’entrata si aprono due saloni con ampie finestrature che erano le serre per aranci e cedri, nonché giardini d’inverno, uno dei quali è oggi una cappella. La volta dell’atrio è decorata con stemmi gentilizi in finissimo stucco; lo scalone d’onore, dalla ringhiera floreale e i gradini casellati con minuzia orafa, conduce al piano nobile con i tre saloni, rivolti ad occidente,da cui si gode un memorabile panorama dal monte Baldo all’Appennino modenese. Il primo è la biblioteca, e sala di udienze, dal ricercato arredamento originale in ciliegio: parquet, porte monumentali e stipi della libreria in stile eclettico, opera di squisiti ebanisti. Il soffitto parla delle preferenze letterarie del Principe, con i medaglioni di Dante e Beatrice, Petrarca e Laura; al centro un tondo, dipinto da Mosè Bianchi, come uno squarcio di cielo in cui si librano Paolo e Francesca, gli amanti dannati dell’ Inferno dantesco. La porta a doppio battente si apre sulla Sala Rossa, chiamata degli Arazzi per le Storie di Semiramide appese un tempo a lato del camino. Questo salone, che fu teatro di feste con teste coronate, è impreziosito dalle cornici delle porte in marmo rosso e da un camino in pietra nera di paragone, proveniente dal Palazzo Contarini di Venezia ed ornato da deliziose ceramiche di Delft, cui fu sovrapposto un busto con trionfo guerriero e lo stemma dei Giovanelli. Ma per il soffitto fu preso a modello il Palazzo ducale di Venezia, con intagli e stucchi dorati e tre ovati ritagliati nel cielo per i cui soggetti, moderni ma in chiave mitologica, M. Bianchi si recò a Venezia a studiare Veronese e Tiepolo. In scorcio ardito e sapiente, viene rappresentata la Pace che favorisce sviluppo e benessere nel mondo. Ovato a Sud: Mercurio, dio delle attività umane, solca i cieli in volo assieme ad una Flora tenerissima con ali di farfalla.
Ovato a Nord: Marte, dio della guerra,scende da una minaccevole nuvolaglia, altero ed incurante delle madri supplicanti tra i cannoni schierati. Ovato centrale:la Pace, con la Gloria e la Storia, celebra il suo tripudio di cui godranno i quattro continenti, simbolicamente rappresentati. Una fascia intagliata e dorata raccorda le pareti col soffitto, scandendo scene di giochi di bimbi , quasi affacciati da finestrelle sul mondo dei grandi. La terza sala è detta della musica perché qui la Principessa soleva far eseguire musiche da camera o per pianoforte: è l’ ambiente più raffinato e leggiadro. Una esile trama di stucchi incornicia le Stagioni danzanti e simula la griglia di un pergolato al cui centro appare una Flora (dipinta dal Bianchi) sorretta da putti mentre sparge sulla terra i fiori della primavera; e questi scendono lungo le pareti glauche come una magnifica danza di corolle e racemi di stucco in rilievo e dipinto (ideazione di L. Scrosati). Nell’ala settentrionale della villa, a cui si accede dal chiostro, sono collocati gli ambienti più intimi della principesca famiglia, come il salottino del Caminetto, dai bianchi medaglioni del Caremi raffiguranti in rilievo teneri scherzi infantili e dai vividi serti di fiori sbocciati dal pennello di Luigi Scrosati. Ma la sua invenzione geniale fu quella di “sfondare“ il basso soffitto di una sala adiacente, creando illusionisticamente una aerea balaustra rococò sullo sfondo di un cielo meridiano, solcato dai voli ad ali ferme di piccioni della piazza ed ecco l’ambiente gravato da un soffitto opprimente diventare la Sala delle Colombe. Alla mano felice di questo decoratore milanese si devono anche le ghirlande floreali degli appartamenti degli ospiti importanti, situati nelle torrette.
all’inglese
Il parco di Villa San Fermo
Il parco di Villa San Fermo, occupa una delle ultime propaggini meridionali dei Monti Berici. La proprietà si estende su circa 30 Ha, destinati a vigneto, oliveto e bosco; solo una piccola parte, circa 10 Ha, è ancora a parco e grazie ad essa si può ricostruire la grandiosità del giardino originario.
Nato dall’ingegno dell’architetto milanese Giuseppe Balzaretti, il parco all’inglese inizia a prendere forma in concomitanza dei lavori di ricostruzione della villa dopo l’incendio del 1855. Inizialmente si dovette modellare il terreno, disegnate le strade carrozzabili che uniscono le diverse costruzioni inserite nel parco ma, soprattutto, organizzare l’irrigazione, senza la quale un giardino non può esistere. Vengono create così vasche di raccolta delle acque piovane a diverse quote altimetriche, in modo da poterle convogliare all’orto, alle serre, al giardino d’inverno della Villa ed infine al laghetto, collegato direttamente con il canale Brendola.
Nella proprietà si possono individuare quattro livelli con funzioni definite: l’Ingresso dei Fiumi, che porta il parco nel centro cittadino, la Villa, la Cappuccina (vecchio monastero con Chiesa annessa) e Santa Colomba.
Queste strutture vengono costruite ex novo o ripristinate secondo lo stile del giardino paesaggistico con l’aggiunta di elementi tipici dei giardini asburgici. In particolare Santa Colomba era una azienda agricola modello costruita in stile svizzero, appena sotto la Cappuccina si ergeva un Cafèhous dove spesso gli ospiti erano intrattenuti con musica e danze e il laghetto era navigabile con una piccola imbarcazione e prossimo al recinto dei daini. Tutto ciò era collegato da viali alberati e pavimentati, intersecati da sentieri dedicati ad illustri personaggi classici (Omero, Virgilio), inserito in un corredo vegetale che doveva suscitare emozione e celebrare la fama dei proprietari.
Sono proprio gli alberi, maestosi e talvolta malconci, l’eredità di questo grande parco. Essi testimoniano il gusto esotico, i viaggi in paesi lontani e la voglia di stupire, tipici dell’epoca. Così intorno al laghetto si stagliano leggiadri cipressi calvi (Taxodium disticum Rich.) che contrastano con il verde cupo delle magnolie; il pattinaggio è circondato da un viale di Sophora japonica L. e dal tasso che circonda il prato del Cafèhaus spuntano i tronchi candidi del pino nero (Pinus nigra Arnold). Non mancano i tigli, le querce, i Liquidambar styraciflua L., i frassini e gli aceri che in autunno tessono un tappeto multicolore, dove passeggiare è una esperienza emozionante.
Il Piano Territoriale Provinciale di Coordinamento ha censito nel sistema dei grandi alberi da tutelare alcuni esemplari presenti nel parco: un cipresso calvo o tassodio, il viale dei bagolari ed una sofora. In un precedente volume della Giunta Regionale e del WWF, era elencata anche una stupefacente farnia (Quercus robur L.), tuttora presente nello spazio del cafèhaus, con una circonferenza di quasi 4m.
Durante la II Guerra Mondiale il parco di Villa San Fermo divenne luogo assai frequentato dalla popolazione. I grandi alberi, soprattutto gli ailanti dalla crescita rapida, offrirono legna da ardere e le Grotte Polifemo, cunicoli scavati nella roccia a ridosso di vicolo San Fermo, divennero un rifugio antiaereo durante le incursioni nemiche. Infine il Cafèhaus fu distrutto definitivamente dal bombardamento del 31 ottobre 1944.
Sul profilo del Colle che sovrasta Lonigo è riconoscibile una chiesa dalla facciata a capanna con rosone e campani letto a vela. È la Chiesa di San Bonaventura, con annesso convento. Consacrata nel 1658 per la presenza dei frati cappuccini voluti dai fratelli Pisani, proprietari della Rocca. Nel 1769 i cappuccini furono cacciati a seguito della soppressione voluta dalla Repubblica Veneta; la chiesa venne chiusa al culto nel 1876 e i Giovannelli la inserirono nel parco della loro villa.