un viaggio
un viaggio
alla scoperta di Lonigo
A chi arriva verso la città di Lonigo essa appare da lontano con un profilo inconfondibile che completa il sinuoso crinale dei Colli Berici, le sue forme sono tracciate da un’architettura storica: la Rocca Pisana, la Villa Giovannelli, la cupola del Duomo, il Torrione e il campanile della Chiesa Vecchia. Simboli di un passato da scoprire e ammirare che non ha nulla da invidiare ad altre città ben più conosciute e visitate.
Non mancano certo pubblicazioni storiche e artistiche che riguardano la Città di Lonigo. Era tuttavia sentito da tempo il bisogno di dare al visitatore più frettoloso o al turista più esigente una guida che raccogliesse tutte le notizie per conoscere Lonigo, la sua storia, i suoi colli, le sue tante bellezze artistiche e architettoniche ed i prodotti della sua terra.
Non una semplice raccolta di informazioni, ma un viaggio agevole verso la scoperta della città, la natura, il paesaggio, i prodotti. Un volume che non si rivolge solo ai foresti, ma che sarà di supporto anche per i concittadini che vogliono guardare alla loro terra con più interesse e curiosità.
lonigo
Simboli di un passato da scoprire e ammirare che non ha nulla da invidiare ad altre città ben più conosciute e visitate
la stele
Credenza dei romani in una vita futura
La stele misura 1.90 per 0.75 metri, lo spessore è di 15 cm ed è composta da tre comparti; il superiore che porta nel mezzo una conchiglia fiancheggiata da due delfini che sembrano sostenerla e due geni alati che protendono una corona con un nastro annodato.
Questi simboli rappresentano la credenza dei romani in una vita futura.
Per i buoni, si reputava che i Campi Elisi fossero in mezzo all’oceano, i delfini facevano da transito e la conchiglia era usata come barca di trasporto, mentre i due geni alati raffiguravano gli angeli buoni.
La parte mediana reca l’iscrizione e la parte inferiore presenta incavato un sarcofago sorretto da 4 piedi.
il castello
di Lonigo
Del ″forte e ben munito Castello, detto anche Castellazzo per la sua immensa grandezza″ rimangono soltanto alcune torri, disposte in modo tale da poter constatare che la superficie occupata dal castello di Lonigo era davvero molto estesa.
Sorgeva nel luogo leggermente sopraelevato dove oggi sorgono il Duomo, il palazzo Cassia ed il palazzo Mugna, sede dell’amministrazione comunale e alcune belle case di abitazione civile. Esso fu individuato anche dagli agrimensori mandati da Roma, circa 2000 anni or sono, i quali lo scelsero come ″il centro, l’umbilicus della centuriazione che si spingeva a nord fino a Gambellara e Montebello e a sud perveniva ai Berici occidentali, oltre Orgiano″.
Quel naturale monticello di terreno lambito a settentrione e ad occidente dal fiume Guà, si prestava felicemente all’insediamento di un abitato ed è verosimile che vi sia stato costruito un vicus o una colonia romana, come documentato da numerosi ritrovamenti; dobbiamo tuttavia risalire al 976/977 per trovare un documento scritto attestante l’esistenza del Castello di Lonigo. Qualcosa di ben protetto deve essere stato comunque costruito fin dalla prima occupazione romana.
La costruzione di un vero e proprio castello con mura e torri di pietra deve essere avvenuta agli inizi del X secolo, quando gli Ungari invasero più volte la nostra fertile pianura, seminando morte e distruzione; Lonigo, infatti, ha avuto la fortuna prima, e la disgrazia poi, di trovarsi in un nodo viario molto importante.
Un cippo rinvenuto nella località Lobbia, databile 135 a.C., segnava i confini tra i municipi romani di Vicenza ed Este. Vi passava una grande strada, dunque, una Callis Magna e ciò permette di pensare che da questo sia nato l’appellativo Calmano attribuito al castello.
In alcuni documenti degli inizi dell’anno 1000 il Castello Calmano viene definito ″il castello maggiore″ e ciò fa pensare che i castelli fossero addirittura due. Si parla infatti di Castelgiuncoli e per molti autori, a partire da Maurisio, cronista contemporaneo di Ezzelino e Alberico da Romano, e più recentemente, nel ‘700, in alcune mappe del Crestani e del Colombari, Castelgiuncoli doveva trovarsi in quello slargo tra il Borgo e il recinto del Castello che ora corrisponde alla piazzetta San Marco.
Il grande Castello fu tenuto, sia pur tra alterne vicende, per buona parte del XII e XIII secolo dai Conti Maltraversi, potente famiglia del vicentino che vantava origini longobarde. Signori buoni ed avveduti, alcuni, altri meno. In particolare, uno di loro, del ramo dei Malacapella, si macchiò di molte malefatte contro la popolazione e gli avversari politici, tanto da essere costretto a fuggire, prima nell’altro suo castello di Cologna, e poi presso quello di Montebello, tenuto da suoi parenti. In realtà, per tutto il XIII secolo, il Castello di Lonigo fu preso d’assedio, depredato, ed incendiato ad opera di guelfi e ghibellini, di veronesi, vicentini, padovani; tutto il suo territorio venne devastato dalle soldatesche dell’Imperatore, del Marchese di Este, del Conte di Sambonifacio, di Ezzelino da Romano. Ha praticamente continuato a pagare lo scotto di trovarsi in quella posizione strategica di cui si è detto. E non sono mancate le lotte contro il Comune di Lonigo.
Le Signorie si sono avvicendate. Per buona parte del ‘300 il Castello fu governato dagli Scaligeri, ai quali si deve in realtà un discreto periodo di tranquillità ed un rafforzamento della cinta muraria del Borgo e delle Torri. Alla fine del XIV secolo, per circa vent’anni, si giunse addirittura al dominio da parte di Gian Galeazzo Visconti; infine, dall’8 maggio 1404 tutta la Comunità ed il Castello di Lonigo firmarono i Patti di dedizione al governo della Serenissima Repubblica di Venezia. Ma non per questo la popolazione poté godere di lunghi periodi di pace: ad angariarla furono spesso gli stessi soldati di Venezia, oppure i loro nemici.
a piedi
lungo le vecchie mura
Ma veniamo dunque a visitare ciò che rimane di questo grande Castello.
Consigliamo di iniziare con la visita del Torrione: esso si impone con i suoi 34 metri di altezza e i 68 metri quadrati della base, a pianta quadrata. Per circa una metà esso è costruito con pietre quadrate, l’altra metà porta il marchio tipico della costruzione difensiva scaligera.
Una lapide alla sua base, sopra la fontanella, ci dice che nel 1882 il Comune di Lonigo demolì i resti del Castello Scaligero ed allargò le piazze circostanti per costruire il nuovo Tempio. Su richiesta, è anche visitabile, e può offrire un’ottima vista su tutta la città: non per nulla era il mastio del Castello.
Proseguiamo passando davanti alle gradinate di questo Tempio, per noi il Duomo; lasciamo sulla nostra destra via Castelgiuncoli ed inoltriamoci per via Pontedera, evitando di salire quella blanda rampa a gradini che porta ad una torretta del Palazzo Mugna: non facciamoci ingannare, essa fu costruita solo nel XIX secolo.
Camminiamo in leggera salita, affiancando una mura con massi di pietra ciclopici, fino a giungere ad una bella torre, non molto alta, di sicura impronta scaligera: essa fu costruita nel ‘300, probabilmente rinforzata dallo stesso Cangrande della Scala. Una scala in pietra adiacente ci porterebbe, nell’interno, in un suggestivo giardino, ma noi continuiamo il nostro periplo. Per meglio vedere i resti delle mura del Castello, gli unici rimasti, dobbiamo attraversare il Ponte S. Giovanni, ricostruito nel 1925, quando venne corretto anche il corso del Guà. E proprio sulla camminata del suo argine, fatti alcuni metri, volgendoci a mattina vediamo un tratto delle antiche mura, e quel che resta di una torre posta proprio nell’angolo.
Spingendo più in là lo sguardo, possiamo notare i resti di un’altra torre ergersi solitari e scarni. Osservando la Pianta del Castello di Lonigo del 1770 di anonimo ed anche quella del Castello e Terra di Lonigo, del 1778 di Carlo Crestani, che si trovano all’interno del Municipio, queste due torri sono ben visibili. Lasciamoci prendere dal gusto di camminare lungo l’argine, godiamoci la vista dei colli e di Villa S. Fermo, fino ad arrivare alla passerella di Contrà delle Oche, ora via Bonioli, o ″Contrà de sora″. L’attraversiamo lasciandoci scorrere sotto le acque del Guà e del Brendola appena confluite. Raggiungiamo Viale della Vittoria e ritorniamo verso il centro percorrendo quello che un tempo fu l’argine di destra del Flumen Novum (il Guà); superato il teatro Verdi, di fianco al prato antistante il Patronato, ci troviamo nuovamente in quello che fu il recinto del Castello. Dinanzi a noi il Duomo, maestoso come doveva esserlo il Calmano stesso. In corrispondenza della sua abside, come si può osservare nella pianta del 1606, sorgeva la chiesa dedicata a San Marco, in onore dei Patti appena stabiliti con Venezia.
Essa venne costruita, appunto, nel 1405, e rivestì notevole importanza sia per gli abitanti del Castello, sia per quelli della Comunità. Fu più volte invasa dalle inondazioni del Guà, che vi scorreva di fianco, devastata e saccheggiata da soldatesche di varia origine. Venne demolita nel 1876-77, per far posto al nuovo Tempio. Unito ad essa c’era anche il Convento delle Monache Clarisse, inaugurato nel 1536 con cerimonia solenne. Un po’ alla volta esso accolse tutte le monache provenienti da S. Maria della Fontana; poi, dopo aver assunto grande importanza, venne infine abbandonato nel 1796.
Ci volgiamo ad occidente e vediamo l’ultima Torre ancora esistente, appena rimessa a nuovo. Anch’essa fu costruita, o ristrutturata, dagli Scaligeri; essa porta ancora i segni di quando, in età moderna, fu adibita a Carceri fino a qualche decennio fa.
Recentemente è stata restaurata e spicca nella perfezione delle sue forme originarie; così pure la costruzione che la fiancheggia, possente come un fortilizio.
Guardando verso occidente, possiamo intravedere quell’esiguo resto di torre di cui ho già detto, nel giardino Lovato.
Un po’ più a sinistra, lasciatoci alle spalle l’ampio parcheggio, imbocchiamo l’ultimo tratto di via Castegiuncoli; questa va a finire proprio nel giardino Chiampan-Purelli, sul cui angolo, a destra, ci sono i resti dell’altra Torre già menzionata. Ritornando sui nostri passi, varchiamo il cancello che immette nel complesso di Villa Mugna, sede dell’Amministrazione Comunale e di altri edifici di servizio sociale. Proprio in fondo si trova la sede della Biblioteca Comunale e, all’estrema sinistra, un meraviglioso giardinetto che dà sull’altra torre scaligera già vista; e, con un piccolo volo nel passato, perché non godere dei canti e dei lazzi dei menestrelli e trovatori giunti dalla Provenza, o dalla Sicilia, ad allietare le gentili dame intente a tessere principeschi orditi? E perché non avanzare fondate ipotesi che le costruzioni in mattoni, rinvenute, e subito ricoperte nell’immenso cortile non siano proprio delle canipe di cui ci parlano molti, molti documenti? E perché non pensare che proprio lì nel punto più alto e più facilmente difendibile, non sia sorto il primo “castrum” di Lonigo?
Lonigo
sotto la Serenissima
All’inizio del XV secolo, la crisi in cui piombò il ducato di Milano in seguito alla morte del duca Gian Galeazzo Visconti (1402), determinò una profonda ristrutturazione degli assetti geopolitici italiani: in particolare, i territori veneti conquistati dai milanesi nel secolo precedente entrarono nelle mire dei Carraresi, signori di Padova, con viva preoccupazione di Venezia: bastò quindi la conquista padovana di Verona a convincere la Serenissima della necessità di un intervento diretto di Terraferma. Nel 1404 con l’accettazione da parte di Venezia della dedizione di Vicenza ( che si sottraeva così tanto ai Visconti, quanto ai Carraresi), si inaugurò una fase bellica che in breve tempo porterà la repubblica lagunare ad essere padrona di uno stato esteso dall’Adda al Friuli.
In quel cruciale 1404 anche Lonigo, con un patto indipendente da quello vicentino, si era offerta alla città di San Marco dimostrando una certa lucidità politica. In cambio di una conquista patteggiata, Lonigo si riproponeva di ottenere il controllo di una vasto distretto amministrativo indipendente posto a cavallo tra vicentino e veronese, insidiando cosi l’autorità esercitata da Vicenza sul contado.
Il desiderio rimase tuttavia frustrato: il nuovo stato veneziano si riproponeva di mantenere per quanto possibile un formale status quo, ribadendo la tradizionale supremazia delle istituzioni cittadine sulle aree rurali. Tuttavia, in cambio di una pacifica accettazione di questo ordinamento, Lonigo ottenne importanti esazioni fiscali e lo status di podesteria, seppur di grado inferiore ( il podestà inviato annualmente da Venezia, poteva esercitare giurisdizione solo in ambito civile, e con forti limitazioni).
Già nel 1441 la condotta ambigua dei leoniceni durante la guerra con Milano allora in atto (Lonigo nel 1439 era momentaneamente passata al nemico per fuggire l’assedio), fornì a Venezia l’occasione per ridurre i privilegi fiscali leoniceni a favore di Vicenza.
Un maggiore peso fiscale quindi, nonché la sostanziale pace che interessò il Basso Vicentino a partire dalla seconda metà del ‘400, causarono un abbandono delle antiche fortificazioni medievali e il loro progressivo decadimento. A confermarcelo ecco come nel 1498 il diarista veneziano Marin Sanudo descrive Lonigo:”(…) uno castello circonda atorno mezo mio, et è streto; ha do porte: quella di la piaza si vien di Cologna, et di San Marco va a Vicenza; fa fuogi 300 (…) A’ uno castello mal condicionado, propterea quod è inabitato, se rupe et non è custodito(…)”.
In compenso lasciti privati e l’arrivo nel borgo di nuovi ordini religiosi fecero fiorire l’edilizia sacra: nel 1486 gli Olivetani iniziavano la costruzione del santuario e monastero della Madonna dei Miracoli mentre i Canonici Regolari di San Giorgio in Alga procedevano alla ricostruzione del monastero dei Santi Fermo e Rustico, così come i Minori francescani con San Daniele. In quegli stessi anni la comunità di Lonigo si impegnava nella costruzione della sua chiesa, intitolata programmaticamente all’evangelista Marco.
Ma già nuove preoccupazioni si affacciavano all’orizzonte: nel 1508 papa Giulio II scatenò un imponente coalizione contro Venezia. L’impero, la Spagna, la Francia e gran parte degli Stati Italiani si coalizzarono contro il Leone di San Marco con l’intento di rigettarlo in mare.
Dopo le prime scaramucce, il 14 maggio 1509 si arrivò allo scontro campale: ad Agnadello, nel cremasco, le armate veneziane comandate da Nicolò Orsini di Pitignano subirono un clamoroso rovescio ad opera dei francesi. Allo sbando, all’esercito della repubblica non restò che ritirarsi in fretta e furia a Mestre, lasciando la Terraferma in balia degli eserciti invasori.
Ma già nella tarda estate del 1509, forte delle diffidenze interne alla coalizione nemica, Venezia preparava la riconquista: il momento più glorioso fu probabilmente la presa, la fortificazione e la difesa di Padova dall’assedio degli eserciti imperiali. Il vento era cambiato: con l’imperatore in fuga verso Verona, Orsini poteva prima riprendere Vicenza, per poi attestarsi con il grosso delle truppe a sud, nel castello di Lonigo, dove decise di svernare. Ma Nicolò Orsini di Pitigliano, capitano generale della Serenissima Repubblica di Venezia, non lasciò mai Lonigo: logorato dall’età e dalle fatiche belliche, il condottiero morì il 10 gennaio del 1510 nel convento di San Daniele. Pochi giorni dopo, con queste parole, ne avrebbe dato notizia anche l’illustre vicentino Luigi da Porto: “ Ci fu tolto, pochi dì sono, da morte qui in Lonigo l’eccellentissimo capitano Nicolò da Pitigliano, essendo, cred’io macerato dalla vecchiezza e dalle sofferte fatiche nella ossidione di Padova(…)”.
Ma la guerra non si fermò, proseguendo con alterne fortune: nel 1512 durante un riflusso del fronte veneziano, i franco-tedeschi riconquistarono Lonigo facendo scempio della popolazione e incendiando il suo castello. Fu l’ultimo trauma bellico subito da Lonigo in età moderna: con al pace di Noyon del 1516 si apriva per il Basso Vicentino un periodo di sostanziale pace che perdurerà sino alle campagne napoleoniche.
Alla metà del ‘500 l’acquistata sicurezza del dominio di Terraferma convinse i patrizi veneziani dell’opportunità di investire in risorse fondiarie: nel territorio di Lonigo si distinsero tra gli altri i Pisani, se non altro per le tre magnifiche residenze (la Rocca, Villa Pisani e Palazzo Pisani) che vi fecero costruire. Più lenta, ma costante procedeva nel frattempo la ricostruzione del palazzo della Comunità incendiato nel 1512, simbolo di un rinnovato fervore politico e istituzionale: il XVI secolo vide emergere a Lonigo – come negli altri centri minori della pianura veneta – un nuovo ceto dirigente, il quale, seppur ancora tradizionalmente legato alla proprietà terriera, iniziava a giustificare il proprio potere con il possesso di specifiche competenze giuridico – professionali. Erano notai ne giureconsulti quei leoniceni che in virtù della conoscenza del diritto si ersero monopolisticamente a rappresentanti del Comune, mettendo in atto una progressiva serrata degli istituti comunitari di origine medievale. La convicinia (antica assemblea dei capifamiglia) venne quindi ad essere sostituita da un consiglio con autorità sull’elezione dei propri membri.
A sovraintendere i lavori del consiglio, nonché a rappresentare la comunità nei rapporti con l’esterno vi era la banca, ossia un collegio composto di sei rasonieri, due decani e un sindico, organo di governo eletto periodicamente dal consiglio stesso e che poteva vantare competenze anche sull’amministrazione del locale monte di pietà.
Dalla metà del XVI secolo si iniziò ad eleggere anche un secondo sindico da avviare alla neonata istituzione del Territorio, organo che riuniva i 13 rappresentanti delle circoscrizioni del distretto vicentino, e voluto principalmente dalle comunità del contado nel tentativo di arginare lo strapotere della Città di Vicenza in materia fiscale. I leoniceni furono tra i protagonisti della formazione e della vita istituzionale del Territorio, arrivando in più occasioni a presenziarne l’assemblea come procuratori generali.
L’intera struttura istituzionale sopravvisse ai tentativi di riforma cinque – seicenteschi, giungendo sostanzialmente intatta al 1796, anno in cui le truppe napoleoniche fecero collassare l’esausta Repubblica di Venezia. A Lonigo i francesi vennero accolti in un tripudio generale, destinato a mutare in delusione già l’anno successivo, quando a Campoformio Napoleone decideva per la Cessione del Veneto all’Austria.
l ‘ottocento
a Lonigo
Si può sostenere che l’800 fu un secolo di svolta nel percorso di formazione dell’odierna Lonigo.
In quegli anni, Lonigo si presentava come una cittadina popolata da 7742 abitanti di cui 1235 contadini. La forte presenza di persone d’estrazione agricola, si ripercosse nelle manifestazioni e nei prodotti d’eccellenza che resero il paese famoso anche oltre i confini nazionali nel XIX secolo.
Il prodotto che in primis si impose per qualità e fama fu il vino.
A quell’epoca, i contratti per la gestione dei campi e dei vitigni che servivano per la coltivazione di vari prodotti, tra i quali l’uva, erano diversificati: si passava dagli affitti a breve scadenza, ad affitti garantiti da depositi. Una volta raccolta e trattata, l’uva diveniva vino pregiatissimo, grazie al quale Lonigo cominciò a farsi conoscere per la propria eccellenza.
la fiera
dei cavalli
Strettamente legata al vino, vi era la manifestazione della fiera dei cavalli.
Già conosciuta ed apprezzata in età moderna, la fiera raggiunse il proprio culmine nella seconda metà dell’800.
Da un documento del 1806 sappiamo che essa si svolgeva tre volte l’anno per festeggiare altrettante ricorrenze collegate al culto della Vergine Maria: nello specifico il 25 marzo, il 15 agosto e l’8 settembre ma, di questi tre appuntamenti, quello che sopravvisse e che è giunto fino a noi, fu l’incontro del 25 marzo.
Con un’esposizione di 8000 cavalli e regolamentata il 16 marzo del 1874, la fiera è considerata il fiore all’occhiello di Lonigo.
Il prof. Jacopo Silvestri informa nelle proprie memorie che, presentatosi come cittadino leoniceno in Austria, subito venne associato alla fiera, ed inoltre persino Re Vittorio Emanuele II conosceva il paese vicentino grazie a quest’evento.
Naturalmente la fiera necessitava di un luogo che riuscisse ad accogliere la grande quantità di uomini e animali.
Questo luogo venne identificato nel Parco Ippodromo o più comunemente detto “Circolo”.
Già il nome fa comprendere a che scopo venne utilizzato in principio: il parco servì per ospitare le corse a cavallo che venivano svolte durante il periodo di fiera.
Nel 1868 venne fondata la Società delle corse dei cavalli in Lonigo e, attraverso uno Statuto, si costruì la pista concentrica all’interno dell’impianto, che serviva a mettere in bella mostra le razze equine. Solo dal 1909 la fiera divenne anche espositiva di attrezzature agricole ed industriali.
Il nuovo volto
della Città
L’ottocento fu anche un secolo di grandi cambiamenti urbanistici. Vennero fondate a Lonigo tre scuole: nel 1868 la Scuola Tecnica, nella quale venivano impartiti insegnamenti classici quali il latino e il greco; poi l’Asilo Infantile, edificio costruito nel 1870 dalla Congregazione di Carità; ed infine la Scuola Elementare, nel 1871, che constava di cinque classi maschili, quattro femminili e 15 insegnanti stipendiati dal comune. A proposito della Scuola Elementare, è curioso ricordare che, come di consueto per quegli anni, gli edifici erano divisi per sesso d’appartenenza, quindi la sede maschile si trovava nel Vecchio Ospedale, mentre la femminile all’ingresso della Contrada poi spostata a Palazzo Scortegagna.
È interessante mettere in luce che nel 1882 una nuova scuola “provvisoria” andò ad affiancarsi alle tre sopra descritte: si trattava della Scuola Agraria. Archetipo del tuttora esistente e rinomato Istituto Tecnico Agrario, questa scuola non era autonoma ma andava ad affiancarsi alla Scuola Tecnica, differenziandosi però da essa per un corso specifico e speciale di Agricoltura.
Essendoci della scuole, non poteva non esserci una biblioteca.
Fondata nel 1869 da alcune figure facoltose leonicene, la struttura vantava già 1078 volumi a dodici anni dalla propria apertura e 3421 nel 1914. Nonostante dipendesse dalla Società della Biblioteca Circolante, l’edificio riuscì ad acquisire una propria autonomia ed a diventare un punto di riferimento per la popolazione.
Ad alimentare ulteriormente l’ottima fama di Lonigo contribuì la costruzione del teatro comunale.
Venduto il teatro privato Concordi nel 1890, la giunta comunale dell’epoca si mosse subito per accaparrarsi il monopolio per la costruzione di un’opera pubblica.
L’allora sindaco Filippo Maffei fece approvare il 30 marzo 1891 il progetto di costruzione, il quale venne affidato all’Ing. Giovanni Carraro.
Da alcuni articoli de L’Arena, sappiamo che i lavori iniziarono e si conclusero tra luglio ed ottobre dello stesso anno. L’inaugurazione si ebbe il 23 ottobre 1892 con il Ballo in Maschera di Giuseppe Verdi, opera d’essai adatta a quest’importante traguardo.
Alla fine del secolo, nel 1895, si approvò un progetto atto ad allargare il “vecchio” ospedale.
Grazie all’intervento di mecenati quali il Principe Giovanelli, C. Pasqualigo, D. Donati, P. De Gobbi e A. De Lazzara, il 28 maggio 1899 si ebbe l’inaugurazione del “nuovo” ospedale.
Ad esso venne unita l’approvazione e la costruzione dell’acquedotto pubblico che servì a convogliare e smaltire le acque di scolo del paese.
Tre anni dopo l’approvazione dei suddetti progetti, il 2 dicembre si ebbe l’invito rivolto a Lonigo affinché si allacciasse rete elettrica. La concorrenza da battere per l’illuminazione era con l’olio, ma attraverso l’intervento della Banca Popolare di Lonigo, la città riuscì ad usufruire dell’energia elettrica pubblica da1892.
Tutti questi edifici, manifestazioni e prodotti pongono l’accento sull’importanza e la fama di cui usufruiva Lonigo nel XIX, e in egual misura ci fanno comprendere come tal secolo sia stato il punto di svolta per l’evoluzione d’una Lonigo affacciatasi e divenuta “adulta” nel 900.
museo
Ornitologico
Nel mezzanino è possibile visitare il museo ornitologico, di 250 esemplari, che costituisce una delle più prestigiose raccolte del periodo storico compreso tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Non solo avifauna locale, ma anche oggetti d’arredo, abbigliamento e oggettistica varia, appartenente alla famiglia leonicena Carlotto, la quale lasciò al comune l’intera raccolta – Per informazioni sulla visita, rivolgersi all’ufficio cultura del comune.